Dopo l’insediamento ufficiale di Donald Trump alla Presidenza degli Stati Uniti, nel mondo economico nazionale e internazionale si discute dei possibili effetti indotti dall’applicazione di nuovi dazi, come annunciato dallo stesso Trump durante la campagna elettorale.

Le ripercussioni potrebbero, infatti, provocare scenari preoccupanti per tutte le economie e, dunque, anche per quella italiana.

Trump ha proposto un dazio di almeno il 10% su tutti i beni importati, del 60% su quelli in arrivo dalla Cina e del 100 % su tutte le auto importate. Secondo lo studio di Aurélien Saussay per il Grantham Research Institute, l’effetto sul PIL dell’Unione Europea sarebbe rappresentato da un calo dello 0,11%, mentre la diminuzione più consistente, -0,23%, toccherebbe alla Germania per via dei pesanti dazi che verrebbero applicati sulle auto esportate dalla florida industria automobilistica tedesca. Le conseguenze per il PIL italiano sarebbero risibili (-0,01%) ma il segnale globale non va, ovviamente, sottovalutato visto che alcuni dei settori che potrebbero andare maggiormente in sofferenza sono tra quelli nei quali si concentrano le esportazioni del nostro paese verso gli Stati Uniti.

Infatti, secondo i dati dell’Agenzia ICE di fonte ISTAT, elaborati dalla nostra Ambasciata, nel 2023, il comparto leader delle esportazioni italiane negli Stati Uniti è stato quello dei macchinari e delle apparecchiature per un importo di oltre 12 miliardi di euro; e, sempre secondo lo studio di Sussay, questo unitamente ai prodotti chimici (dei quali l’Italia ha esportato nel 2023 merce per quasi 3 miliardi di euro) potrebbe essere uno degli ambiti in maggiore sofferenza con l’applicazione di nuovi dazi.

Se, poi, la percentuale del dazio applicata verso i prodotti importati dall’Europa fosse del 20%, gli effetti sarebbero ancora più impattanti: lo studio del National Board svedese quantifica un possibile calo dell’export italiano verso gli Usa nell’ordine del 16,8%. La diminuzione dell’export avrebbe effetti, ovviamente, anche sul settore marittimo: secondo il rapporto della European Maritime Transport Agency (EMTA), infatti, una contrazione del 10% delle esportazioni verso gli Stati Uniti potrebbe ridurre il PIL marittimo europeo del 3-5%.

Non va dimenticato, infine, che il Presidente degli Stati Uniti ha utilizzato anche un’altra “leva” per fare pressione in particolare sui paesi europei, quella cioè di un “caloroso” invito ad acquistare più GNL. Gli USA sono, come da relazione annuale di ARERA, il maggior fornitore dell’Unione Europea con il 45,5%, mentre in Italia (dati ISTAT) gli Stati Uniti sono il sesto fornitore di gas con una quota del 7.6%. Nelle ultime settimane, il costo del GNL per British Thermal Units (unità di misura adottata negli Usa) è cresciuto fino ad arrivare al 48% in più rispetto a 3 mesi fa.

Uno scenario complesso, dunque, che, nel suo lavoro Saussay consiglia di affrontare con prudenza e resilienza, con l’adozione di misure protettive per i settori più vulnerabili ed esplorando, nel contempo, soluzioni politiche innovative, nel rispetto, ovviamente, delle norme commerciali internazionali.

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