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Oltre alla battaglia contro la burocrazia che frena lo sviluppo dei porti, Spediporto, la più importante associazione di impresa del settore marittimo italiano, lancia un altro allarme.

La recente integrazione del REACH, il Regolamento CEE 1907/2007 concernente la registrazione, valutazione e autorizzazione delle sostanze chimiche, nel TARIC (la dichiarazione della Tariffa Doganale Comunitaria a cui, poi, si aggancia il sistema dei controlli) rischia, infatti, di mettere in crisi gli scali italiani, che potrebbero non essere in grado di sostenere le nuove e più stringenti misure di controllo adottate. Misure a cui saranno soggetti produttori e importatori di sostanze in quantitativi pari o superiori ad una tonnellata l’anno, gli utilizzatori di sostanze nonchè i produttori e gli importatori di articoli che operano dello Spazio Economico Europeo.

“Praticamente – osserva il Direttore Generale di Spediporto Giampaolo Botta –non si salva nessuno. Coinvolte nei nuovi controlli REACH sono, infatti, moltissime sostanze (metalli compresi), miscele (per esempio vernici, lubrificanti), articoli (anche pneumatici per autovetture, mobili e capi di abbigliamento), prodotti per la cosmesi, oltre a quelli sanitari e farmaceutici. Sostanze chimiche sono presenti in oltre il 90% dei prodotti manifatturieri e quasi tutto, dai pannelli solari ai prodotti farmaceutici, è realizzato con il loro ausilio”.

Insomma una situazione complicata per molti soggetti che, al momento, non hanno, forse, pienamente realizzato le difficoltà cui andranno incontro.

“Saranno coinvolti – spiega Botta – i produttori che vendono direttamente o forniscono a terzi sostanze chimiche, gli importatori che le comprano singolarmente da paesi extra UE o acquistano miscele oppure prodotti finiti, come vestiti, mobili o articoli di plastica, i distributori che tengono in magazzino o collocano sul mercato sostanze chimiche o loro miscele, gli utilizzatori a valle che le impiegano nell’esercizio di attività industriale o professionale “.

Un problema per i porti, dunque, ma non solo: basti pensare all’operatività, che diventerà sempre più difficile, dei laboratori d’analisi sparsi nelle varie Agenzia Regionali per l’Ambiente (ARPA). “Chiediamo dunque – annuncia il Direttore Generale Spediporto – chiarezza. Al momento mancano uomini, attrezzature e strutture, il rischio è che la catena dei controlli rallenti fino ad incepparsi”.

Il settore della chimica è strategico per l’economia italiana, nella cui “classifica” figura al sesto posto: conta più di 2800 imprese e il nostro paese rappresenta il terzo produttore europeo (dopo Germania e Francia). Secondo i dati di Federchimica, il fatturato ammonta a oltre 56 miliardi di euro e le imprese del settore danno lavoro a circa 112.700 addetti diretti, che salgono a 278 mila contando l’indotto, gran parte dei quali occupati nei circa 150 Distretti industriali italiani.

Sulla chimica c’è grande attenzione a livello centrale, come conferma la redazione, da parte del Ministero della Salute, nel 2022, del Piano Nazionale delle Attività di Controllo sui Prodotti Chimici. Il problema, però, è il riscontro sul territorio: servono laboratori e personale per riuscire sostenere quello che sarà il peso dei controlli, che colpiranno indistintamente quasi tutti i manufatti, ad eccezione del “food and vegetables”. Già oggi, la voce “costi di logistica” per il settore chimico è una delle più alte rispetto alla media europea e i controlli che necessariamente verranno effettuati nei porti di sbarco delle merci rischiano di presentare un costo salatissimo all’industria.

Botta non nasconde la preoccupazione: “Già oggi il settore dei controlli di Presidio nei porti è in forte affanno. Uffici di Sanità, settore veterinario, le stesse ARPA regionali dispongono di personale limitato all’osso; il problema è che non vengono banditi concorsi e così, quelle poche unità di personale in più che si riescono ad ottenere sono sempre a tempo determinato, dunque in una sorta di precariato.”

La ricetta per uscire da questa situazione di difficoltà? “Bisogna sbloccare fondi per nuovi concorsi – è la soluzione di Spediporto – e per attrezzare i laboratori con i necessari strumenti di analisi. Oggi, mediamente, un contenitore soggetto a controlli di questo tipo può stare anche due settimane fermo in porto, con costi elevatissimi. Molti importatori hanno, dunque, già scelto di scalare altri porti europei, più attrezzati per questa situazione”.

Il risultato, dunque, è un danno doppio, se non triplo. “Innanzitutto – è la chiosa di Botta – danneggiata è l’industria chimica, che vedrà un aumento importante dei costi della logistica. Peraltro le aziende italiane di questo settore saranno anch’esse fortemente penalizzate perché meno competitive rispetto ai competitors esteri. In ultimo, ad essere danneggiato, sarà anche lo Stato Italiano, che rischia di perdere moltissime entrate.” I numeri snocciolati dal Direttore Generale di Spediporto sono chiari: “Oggi le importazioni valgono circa 71 miliardi di euro per il nostro Paese, oltre a 5.6 miliardi di IVA, 900 milioni di euro di dazi e 120 di altri diritti doganali.  Il 90 per cento dei prodotti è soggetto alla nuova normativa, dunque, i conti (ed i costi) sono presto fatti”.

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