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Tra i temi dell’assemblea lo strapotere dei liner e le loro pratiche commerciali iper aggressive, ma anche gli investimenti infrastrutturali necessari a rilanciare il porto di Genova e la natura giuridica delle AdSP Genova – È cambiato il mondo durante i 6 anni di mandato di Alessandro Pitto alla guida di Spediporto, l’associazione degli spedizionieri genovesi, ma la pandemia, la crisi energetica, la disruption logistica e — in ultimo — la guerra in Ucraina, non hanno fatto che rendere più evidenti le questioni che già erano sul tavolo da tempo.
Ed è così che nella sua ultima assemblea da Presidente dell’associazione, Pitto traccia un affresco fatto di valutazioni, ambizioni, prospettive e qualche preoccupazione per il futuro della figura dello spedizioniere, che oggi rischia di essere in qualche modo fagocitata dalla ‘fame’ dei grandi liners, da tempo interessati ad espandere la loro presenza lungo tutti gli anelli della logistica, anche terrestre, e oggi più che mai (grazie ai maxi-profitti dell’ultimo biennio) dotati delle risorse per farlo in modo massiccio e molto rapido.
“Il problema non è tanto, o quantomeno non solo, che gli armatori si mettano ad offrire servizi che vanno al di là del mero trasporto marittimo: rientra nella loro legittima facoltà di espandere e diversificare il business” argomenta Pitto parlando con Ship2Shore a margine dell’evento pubblico organizzato al Palazzo della Borsa di Genova. “Il vero rischio, almeno dal nostro punto di vista, è che questi grandi gruppi, in un contesto di scarsa disponibilità di stiva, possano in qualche modo legare la vendita del servizio di trasporto a quella di altri servizi accessori di spedizioni e logistica”. Una situazione che si sta già verificando: “Abbiamo avuto evidenza di alcuni casi di questo tipo, che al momento sono sporadici ma che temiamo possano diventare sempre più frequenti”. Una concorrenza che colpirebbe direttamente le case di spedizione, e che gli stessi spedizionieri giudicano poco corretta, ma contro cui al momento sembra difficile poter intervenire in qualche modo, specie nel Vecchio Continente: “La Commissione Europea è un po’ timida nel ripensare la regolamentazione del settore marittimo” secondo Pitto. “Ci sono segnali di insofferenza, verso questa situazione, negli Stati Uniti, dove ci sono diverse azioni in corso da parte della Federal Maritime Commission, che alcune forze politiche americane vorrebbero anche rafforzare nel suo ruolo di vigilanza sulla concorrenza nello shipping”.
Una tendenza che sta prendendo piede in condizioni che di per se stavano già incrementando il potere dei liner: “Le compagnie sono sempre meno e sempre più grandi, grazie ai loro profitti hanno una capacità di spesa straordinaria e con la digitalizzazione riescono ad arrivare rapidamente ad una platea di potenziali clienti sempre più estesa” con la possibilità — è il sottinteso — di bypassare di fatto lo spedizioniere.
Se quindi i problemi — non nuovi — continuano ad animare i pensieri della categoria, questo non impedisce al Presidente di Spediporto di tratteggiare l’immagine del porto che Genova potrebbe essere, puntando su tre direttrici di sviluppo: quella blu, quella verde e quella smart.
Nel filone ‘blu’ rientrando gli interventi infrastrutturali di cui lo scalo ha bisogno: i 27 già programmati, per investimenti complessivi pari a oltre 2 miliardi di euro, e uno — fondamentale per Pitto — che ancora manca. Ovvero la Gronda: “Non servono nuove analisi, bisogna subito partire coi lavori perché è un’opera fondamentale per il porto. | primi studi erano del 2000, è passato troppo tempo ormai. Quindi siamo contenti che recentemente alla Camera il Ministro Enrico Giovannini abbia detto che già questa estate si potrà procedere con il progetto esecutivo. Non possiamo più perdere tempo”.
E sempre nel capitolo ‘blu’ rientra il tema della forma giuridica della Autorità di Sistema Portuali, sui cui secondo il Presidente uscente di Spediporto si è già discusso più che abbastanza: “Abbiamo analizzato per anni il modello nordeuropeo, decentrato, dei porti ‘Spa’ e quello spagnolo, centralizzato, dei ‘Puertos del Estado’, ora è tempo di prendere una decisione”.
Alla voce ‘green’, Pitto ripropone invece il progetto — già presentato in passato dall’associazione degli spedizionieri genovesi — della Green Logistic Valley in Valpolcevera, dove realizzare la ZLS (Zona Logistica Semplificata): “È un passaggio fondamentale per Genova, che deve avere un retroporto dove insediare attività logistiche ad alto valore aggiunto nei pressi del porto, e non troppo distante come talvolta si ipotizza. Per questo auspichiamo presto la nomina di un Commissario governativo per la ZLS.
Dobbiamo ricordarci che il cliente finale di un porto è la merce, ed è ad essa che dobbiamo essere in grado di offrire un’ampia gamma di servizi, per essere competitivi”.
Sindaco e sfidante a confronto sui temi della portualità
L’assemblea di Spediporto è stata anche l’occasione per un confronto — ancorché non diretto, ma realizzato tramite due interventi successivi sul palco — tra l’attuale Sindaco di Genova Marco Bucci, candidato per un secondo mandato, e il suo sfidante Ariel Dello Strologo, che hanno affrontato diversi temi inerenti la portualità cittadina, dalla ricollocazione dei depositi chimici alla forma giuridica della AASP (che pure, come competenza, non attiene all’amministrazione comunale): nettamente a favore dei porti ‘Spa’ il primo cittadino, più attento a preservare la natura di bene pubblico delle banchine (pur non escludendo a priori la possibilità di trasformare le authority in società per azioni) il candidato dell’opposizione.
Dello Strologo, che i depositi di Superba e Carmagnani preferirebbe ricollocarli sulla futura nuova diga o, in subordine, a Porto Petroli, ha poi sottolineato che la necessità più stringente, per poter riorganizzare lo scalo in modo efficiente e quindi competitivo, è un nuovo Piano Regolatore Portuale, “che aspettiamo ormai da troppi anni”.
La tavola rotonda degli operatori
Oggetto del dibattito è l’applicazione della Tonnage Tax e dei benefici connessi col Registro Internazionale alle cosiddette attività ancillari effettuate dagli armatori, percepita dalle altre categorie di operatori della value chain marittima come un vantaggio non giustificato che viene concesso alle shipping company: “Su questo tema — ha ribadito Schenone — i terminalisti europei fanno una battaglia di equità. È ovviamente legittimo che un armatore voglia estendere il suo raggio d’azione anche a comparti attigui al suo core business tradizionale, ma nelle attività di logistica terrestre tutti devono misurarsi con le stesse condizioni di partenza”.
Diversa è ovviamente l’opinione degli armatori e di chi li rappresenta nei porti. Per Pessina, infatti, “l’integrazione della catena logistica è in corso da anni e non mi pare di vedere fenomeni così evidenti di distorsione del mercato. Ci sono tanti grandi gruppi che si fanno concorrenza tra loro”.
Anche per Messina quello della Tonnage Tax è un falso problema: “Sono solo le navi italiane che possono accedere a questo tipo di beneficio attualmente, e in futuro potranno farlo quelle con bandiere europee (come chiesto da Bruxelles)” ha ricordato Messina. “Quindi parliamo Ignazio Messina & C., Italia Marittima, GNV, Snav, Moby, d’Amico, Grimaldi, ma non di Maersk o MSC”.
E secondo diversi commenti a latere dei lavori, raccolti tra la platea, è davvero difficile pensare che i grandi colossi del trasporto container, peraltro forti di profitti multimiliardari, possano decidere di cambiare bandiera ad un certo numero di loro navi — modificando strategie che vengono spesso definite a migliaia di chilometri di distanza dal Belpaese sulla base di dinamiche globali — solo per poter accedere ad un beneficio fiscale sull’attività di logistica terrestre effettuata in Italia.
La difformità di vedute tra i panelist permane — per ragioni diverse e forse meno direttamente legate agli interessi specifici della categoria rappresentata — anche in relazione alla forma giuridica delle AASP, con Schenone e Messina questa volta concordi nell’auspicare una governance strategica centralizzata più forte per i porti, e Pessina convinto invece della necessità di accordare alle authority maggiore libertà d’azione e autonomia rispetto al controllo ministeriale.